Il piccolo Eric trotterellava sul sentiero ripensando stranito e un po' imbronciato a quella frase del maestro... “certo ci si affeziona tanto ai propri animali al punto che a volte addirittura arriviamo a parlare con loro...”. Addirittura? Insomma, dov'era la stranezza, si chiedeva Eric. Cominciava ad affacciarsi in lui un certo malumore, e il sospetto che altrove le cose fossero diverse da come erano nella casa nel bosco.
Avvicinandosi a casa con fare indagatore e a questo punto un po' sospettoso, notò innanzitutto come, effettivamente, dall'esterno fosse tutto estremamente silenzioso. Non trapelava alcun suono né vocio dalla casetta di legno, eppure era già vicino, sempre più vicino, molto vicino... Aprì la porta lentamente e non appena l'ebbe varcata si trovò avvolto da una girandola di suoni.
“Come è andata la scuola?” gli chiese la mamma porgendo, mentre si voltava verso di lui, una pila di piatti al cane perchè apparecchiasse la tavola. Ma il pastore era già corso incontro al padroncino per festeggiarlo a dovere. Eric gli si buttò addosso e rispose alla mamma con una veloce alzata di spalle, tutto normale insomma, anche se la frase del maestro ancora un po' lo straniva. Subentrò veloce il gatto che sistemò le stoviglie ordinatamente e si aggomitolò poi sulla sedia ad aspettare che tutti si mettessero a tavola.
Arrivato il papà seguito in ordine decrescente dai 2 fratellini, mamma Oca e i suoi pulcini, tutti si sedettero per
il pranzo. La tavolata non era però al completo. Eulalia, la bambolina di stoffa nel suo flokloristico abito di lana, entrò nella stanza portando un vassoio fumante, e prese posto con un po' di fatica sulla sedia sistemata apposta per lei, sopra tanti soffici cuscini e strati di stoffe per portarla ala giusta altezza. Mancavano all'appello Deodato e Gualtiero, i due topi di peluche, che si erano sicuramente intrattenuti incantati in soffitta a rovistare tra cimeli polverosi, o forse si erano assopiti in granaio. Ah no, eccoli! Uniscono le forze per spingere la porta quel poco da permettere loro e a un raggio di sole di infilarsi in cucina e di arrampicarsi verso il proprio piatto. Furono loro per lo più a tenere banco quel giorno raccontando di come avessero inseguito una piccola gorilla rosa legata al cestino di una biciclettina, provando a farsi notare da lei, che però non aveva risposto ai loro saluti e si era alla fine allontanata sobbalzando passiva al di sopra delle rotelle. Erano rimasti molto colpiti da quell'assoluta indifferenza, si erano sentiti invisibili! Eric parlò poco ma osservò molto. Era tutto vero e consueto, non era certo lui in errore!
Il giorno dopo chiese a Eulalia che lo accompagnasse a scuola. Voleva che aiutasse il maestro a capire. Ma nel tragitto verso scuola iniziò ad avere la sensazione che la bambolina non stesse molto bene, la vedeva irrigidirsi. Una volta in classe, si contrariò molto perchè la sua tata e amica non spiccicò nemmeno una parola, nemmeno un saluto per educazione al maestro, nemmeno una parola in sua difesa quando i suoi compagni lo presero in giro per avere con se una bambolina in gonnella.
Il giorno dopo chiese a Gualtiero di accompagnarlo a scuola. La scena si ripetè. E il giorno dopo ancora, fu il cane pastore ad essere afflitto da quello strano mutismo.
Eric non capiva. Perchè erano così ingiusti da rianimarsi e farsi tanto loquaci solo una volta varcata la porta della casa nel bosco?
Un giorno decise di sfogarsi con sua madre raccontandole di quelle bizzarrie nei comportamenti dei suoi amici. Entrambi i genitori si raccolsero intorno al tavolo e seri iniziarono la spiegazione.
“Vedi Eric… tanto tempo fa, insomma… proprio prima che tu nascessi, abbiamo passato un momento molto difficile. In città si moltiplicavano i furti di case e anche noi ne siamo stati colpiti. Ci ritrovammo così senza un tetto sulla testa e senza gli oggetti con cui vivevamo. Ci disperavamo e ci chiedevamo come si potesse essere stati tanto crudeli da non comprendere come tutte quelle cose grandi e piccole non fossero solo oggetti, ma creazioni con cui siamo entrati in contatto non per caso, ma per scelta reciproca… riesci a capire Eric?”
Non era sicuro di riuscirci, o forse era estremamente semplice l’idea: “cose che acquistiamo perché ci servono e perché ci piacciono, che incontriamo tra tante, ma che scegliamo tra tutte, un po’ come se ci chiamassero?” Chiese scegliendo bene le parole.
“Esattamente. E’ per questo che le nostre tazze della colazione sono qualcosa che è nato dal lavoro di qualcuno perché potesse sorriderci ogni mattina. E gli abiti che indossiamo sono il frutto della perizia di mani lontane che arrivano a noi perché solo su ciascuno di noi calzano perfettamente. E gli strumenti di lavoro di tuo padre sono stati messi a punto con impegno per diventare insostituibili aiutanti. E i tuoi giochi escono dalla fantasia e arrivano fino a te perché in te c’è quella stessa fantasia che aspetta di essere tirata fuori. Quello che è fondamentale però, è che tutto questo intreccio tu devi saperlo vedere. Altrimenti c’è, ma si cela con la reticenza di chi non vuole sprecare qualcosa di bello”.
Quindi Deodato, Gualtiero e Eulalia non lo avevano sbeffeggiato: la loro voce era stata intessuta soltanto per le orecchie di chi abitava quella casa nel bosco. E in ogni altra casa sarebbe stato lo stesso, tra i suoi abitanti. Fuori, il turbinio di voci e richiami si annullava in un silenzio latente, in cui ciascuno può sentire emergere solo voce a lui congeniale.
Posso domandarti se gli ultimi due post di agosto e questo di settembre sono stati scritti da te? Sto curando un blog nel quale testo, secondo mia unica opinione, la validità di altri blog, presi a caso nella rete (come se avessi pescato!. Ti dispiace se parlo del tuo?
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